Bandi di gara, avvisi, ordinanze
  Prodotti Tipici   Logo EU ITA Reg.Piemonte  
Home Page

Amministrazione Trasparente

URP Ufficio Relazioni con il Pubblico

Albo Pretorio on-line

Siti tematici

Amministrazione

Uffici comunali

Sagre ed Eventi

Fotografie

Modulistica On-Line

Dove Siamo

Il Territorio

Cosa Visitare

Prodotti Tipici

Note Legali

Privacy

Area Riservata
( Tipico dolce natalizio che si faceva in casa con i bambini a forma di Gesù bambino) Ingredienti : • 400 g. di farina di frumento tipo “00”; • 100 g di burro; • 200 g di zucchero; • 2 uova intere ed un tuorlo; • Una bustina di lievito in polvere; • La scorza di mezzo limone; • Un pizzico di sale; • Una spolverata di zucchero per guarnire. Preparazione Preriscaldare il forno a 175°C. Sull’asse da lavoro disporre la farina a fontana, precedentemente mescolata con il lievito, formare uno spazio al centro e mettere il burro, ammorbidito a temperatura ambiente e tagliato a pezzetti, lo zucchero, le uova e il tuorlo, la scorza di limone e un pizzico di sale. Impastare con le mani fino a formare un composto morbido , liscio ed omogeneo. Creare la forma di un bambino in fasce piuttosto magro, cercando di schiacciare la pasta, guarnire con canditi creando gli occhi e la bocca ed a piacere il vestito quindi spolverare di zucchero e disporre nella teglia da forno rivestita con la carta-forno. Cuocere per circa 40 minuti

Questo piatto che si ritiene essere l’unico vero piatto delle fredde serate d’inverno è tipicamente piemontese, anche se alcuni dei principali ingredienti che lo compongono non sono originari del Piemonte . Le acciughe, infatti, provengono dalla Liguria o dalla Sicilia o dalla Costa Brava e l’olio d’oliva è ligure.
Le acciughe impiegate sono in genere sottosale, ma non mancano quelle sott’olio. Molto diffuso è l’impiego del burro, rara l’aggiunta di gherigli di noce, vino o aceto.
L’abbinamento, oltre alle tradizionali verdure crude invernali, in cui campeggia il cardo gobbo di Nizza, sono l’ indivia belga, i carciofi, gli asparagi, i ravanelli, il sedano, ecc. presenti anche le verdure cotte cipolle, rapa rossa, patata, cavolfiore , ecc. A conclusione trova impiego l’uovo strapazzato e, a sorpresa, lo stracchino, i tagliolini, crostoni di polenta e il tartufo.
Piatto tipicamente popolare , pare incontri il favore della Casa Savoia. Vittorio Emanuele II. Oltre alle mille avventure femminili e le stragi venatorie, era noto come ghiottone di bagna cauda. Il “Cuoco Piemontese” del 1766 la classifica col nome di “Salsa del pover uomo” ( aggiunge a fine cottura pane grattugiato e brodo). Nel ricettario del Vialardi ( Cuoco di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II) la bagna cauda viene citata col nome di “Butirro alle acciughe” ( non prevede l’impiego di olio)
Ingredienti ( dose per sei persone ) :
250 grammi di acciughe sottosale,
2 teste di aglio
250 cc di olio d’oliva extravergine ligure ( o comunque delicato)
Le verdure da intingere sono : Cardi gobbi di Nizza, peperoni, carote, finocchi, sedani, topinambur , cipollotti freschi, rape bianche, cavolo cappuccio e mela verde.
Preparazione : pulire le acciughe eliminando il sale, lavatele con vino bianco secco e diliscatele. Pulite l’aglio eliminando l’anima centrale tagliandolo a fettine sottilissime, versate l’olio e unite le acciughe e l’aglio.
Cuocete a fuoco dolcissimo per circa 15 minuti. C’è chi consiglia, per rendere meno aggressiva la salsa , di lessare l’aglio nel latte e di lasciarlo in ammollo per alcune ore. Alcuni aggiungono del burro o un poco di vino rosso.
Le verdure vanno pulite, affettate e servite miste in coppette. Ogni commensale intingerà nella salsa un pezzetto di verdura aiutandosi con una fettina di pane. Se la bagna cauda è l’unica portata , occorrerà far seguire un secondo servizio di verdure bollite e al forno quali la patata, la zucca. Il cavolfiore, la cipolla e la polenta arrostita. I contadini usavano, terminare con un uovo strapazzato raccogliendolo con il pane che era stato utilizzato per accompagnare le verdure. Il servizio avvine in appositi tegami individuali riscaldati o in unico tegame posto al centro del tavolo e tenuto al caldo da un apposito fornello.
La bagna cauda resta un vanto della nostra civiltà contadina e vignaiola piemontese, che rimarrà sempre occasione socializzante e rito conviviale.

La testa in cassetta della Val Curone
Quando il maiale era ancora un autentico tesoro per le famiglie ( quelle che avevano la fortuna di possederne uno!), erano molti gli stratagemmi contadi… per utilizzare tutte….ma proprio tutte , le parti dell’animale macellato. Nella Valle Curone si produceva, utilizzando le parti commestibili e morbide della testa dell’animale, la cosiddetta Testa in Cassetta. Era …anzi è tutt’oggi in produzione, promossa da alimento di ripiego a rara leccornia. Sulla storia di questo insaccato purtroppo la documentazione è scarsa e il racconto orale è stata l’unica fonte che ha permesso il perpetuarsi della tradizione. Ai cultori della gastronomia di una volta poi il compito di rintracciare la ricetta originale e i metodi di lavorazione utilizzati da generazioni di buongustai.
Si trattava di “insaccatori” itineranti , macellai o norcini , che nella stagione invernale si recavano presso le varie famiglie a confezionare le carni del maiale. Oggi la produzione, benché di piccole quantità è stata ripresa da alcuni macellai della valle ma viene soprattutto realizzata a livello familiare. La Testa in Cassetta quella classica si trova anche nel Registro dei Prodotti Agroalimentari tradizionali della Regione Piemonte.

Preparazione della testa in cassetta.
Si procede, una volta fatta bollire, spolpando quanto più possibile la testa del maiale. Si aggiunge a tutto quello che si ottiene la lingua ed alcuni muscoli se ci sono anche di manzo. Dopo di che si mette tutto in pentola. La cottura della carne avviene come quella del normale bollito, con l’aggiunta nell’acqua di carote, sedano, cipolle e alcune foglie di alloro. Quando il preparato è cotto al punto giusto si passa alla formazione dell’impasto. I pezzi di carne vengono tagliati a dadini di diversa grandezza, alcuni molto fini e con la massima rapidità, prima le parti magre e poi le parti grasse, lasciando raffreddare il tutto il meno possibile. Terminato lo sminuzzamento si inseriscono gli ingredienti in un recipiente idoneo e si impastano, con le mani, aggiungendo sale , pepe, noce moscata grattugiata, volendo la cannella ed un bicchiere di rhum , grappa oppure marsala. Quindi si passa al confezionamento, che deve avvenire velocemente per sfruttare la lavorabilità dell’impasto ancora caldo. L’insaccamento va fatto con le mani ed utilizzando la cosiddetta “tasca”, un budello di origine animale. Dopo di che si arriva alla fase della “cassetta” il recipiente , una volta di legno dolce, in cui l’impasto inserito nella “tasca” viene riposto al fine di dare al prodotto la tipica forma schiacciata. Lasciato nella cassetta per uno o due giorni, non necessita di stagionatura è pronta per essere mangiata.

MAIS e GRANO, le qualità, come fare una buona polenta

FARINA GIALLA, è la comune farina da polenta, la si ricava dalla macinazione più o meno fine del mais normale e separata dal germe mediante setacciatura. E’ detta abburattata quando si macina tutto il granturco e si separa solo la crusca. La vitrea, o semola o fioretto è quella macinata a grana grossa. Fumetto è la farina macinata finissima, adatta per dolci o per l’alimentazione dell’infanzia. La farina macinata finissima, adatta per dolci o per l’alimentazione dell’infanzia. La farina a grana grossa è quella tipica usata nelle Valli del trentino, Veneto, Lombardia e Piemonte. In alcune zone è mescolata ad un quinto di farina di grano saraceno e si ha la polenta bruna.

FARINA BIANCA, è ottenuta dal mais senza pigmenti, ha le identiche caratteristiche nutrizionali e modalità d’impiego della farina gialla. E’ tipica sia del Veneto sia del Friuli.

FARINA SCURA, è ottenuta dal grano saraceno, pianta probabilmente proveniente dall’Asia, portata in Africa e poi dai Mori in Spagna, che niente ha a che vedere con il mais. La polenta che si ottiene è soda e ruvida, indispensabile per preparare la taragna Valtellinese.

Come preparare una buona Polenta:

La scelta sta naturalmente nella farina, che deve essere di ottima qualità e fresca. Infatti, non deve essere conservata a lungo, poiché si altera facilmente, in particolare se all’origine c’è il grano non ben germinato o non essiccato a regola d’arte. Deve inoltre essere conservata in luogo fresco e asciutto. Se lasciata troppo tempo aperta, la farina tende ad agglomerarsi, i lunghi filamenti che si notano sono vermiciattoli non distinguibili ad occhio nudo, e va gettata. Se la vostra polenta ha un sapore amarognolo, significa che la farina era adulterata con l’immissione di altre farine, come la farina di castagne o di patate, di ceci. Anticamente la polenta si faceva sul fuoco, con il classico paiolo di rame non stagnato. Ora, è difficile avere il paiolo e l’atmosfera, a meno di non capitare in qualche baita, ma in commercio esistono paioli efficacissimi, con il doppiofondo di rame poiché questo metallo è un ottimo conduttore di calore e fa cuocere in modo uniforme la farina. Esistono anche paioli antiaderenti, che facilitano il compito a chi si accinge a preparare questo antichissimo piatto. Oltre al paiolo, serve il bastone per mescolarla. Un tempo era lungo, sottile, tondo, in alcune zone era appiattito al fondo, al giorno d’oggi, nelle nostre cucine, si può ricorrere al comune mestolo a spatola. Paiolo, mestolo e olio di gomito, altro ingrediente fondamentale per rigirare il tempo necessario la polenta.Quanto tempo serve perché cuocia al meglio? Un’ora anche se qualcuno dice quarantacinque minuti, più un altro quarto d’ora. Ricordate : più la polenta cuoce e più sarà digeribile e buona. Una regola molto importante la polenta non impazzisce, ma è come la maionese: perché sia proprio buona, deve essere girata sempre nello stesso verso.

Un trucco perché la polenta non faccia grumi è quello di versare la farina quando l’acqua della polenta da segno che sta per bollire , ma non bolle, mescolando energicamente. Altro trucco per avere una polenta saporita è l’aggiunta all’acqua di un paio di cucchiai di olio d’oliva.

La polenta, una volta cotta e ve ne accorgete subito perchè si stacca perfettamente dalle pareti del paiolo, va versata con un colpo secco sul tagliere. Per tagliarla non usate lame di metallo, ma coltelli de legno.Il massimo è imparare ad usare il filo, bianco, di cotone e da cucito, che si tende serrandolo tra le dita e si affonda nella polenta: la fetta sarà netta, pulita.

Una volta che la polenta è cotta, tagliata e servita , va “maritata” con qualcosa e la fantasia della nostra regione si è sbizzarrita. Dalle più diverse carni ( cinghiale, lepre, pollo alla cacciatora , ecc. ) alle verdure , al pesce ( stoccafisso ), formaggi o uova, sughi ricchi o sughi poveri non c’è che l’imbarazzo della scelta per festeggiare e gustare questo umile piatto che sa trasformarsi in un piatto da re.

Non dimentichiamo poi che la polenta è amata anche dai dietologi perché il detto dice che : “ La polenta lascia come trova “.

La polenta viene anche rappresentata da MAIJN con LA POLENTA ,tipico personaggio del Presepe Piemontese . La nomea infatti di “polentoni” già da sola dà l’idea della diffusione di questo piatto, non solo in Piemonte ma in tutto il Nord Italia. Il nome polenta deriva dal latino puls, che identificava un cibo a base di farro consumato dalle antiche popolazioni italiche. Come abbiamo già accennato la tipica polenta piemontese è quella di melia, gialla ( a seconda delle zone la grana è più grossa o più fine, ma la macinatura deve essere a pietra, per conservarne le proprietà) , ovviamente più recente, poiché il mais ha origini americane, e non era conosciuto in Europa prima della scoperta di quelle terre. La sua diffusione fu peraltro molto rapida, forse perché di buona resa, facile da coltivare ed economica. Nei paesi e nelle campagne divenne in breve tempo il cibo praticamente quotidiano, se non proprio l’unico alimento di chi disponeva di pochi mezzi di sostentamento. Peraltro, fin verso la metà del Novecento, esistevano numerose varietà che fornivano farine di alta qualità e di gusto particolare. Ad esempio, nella sola provincia di Torino, sono pervenute le antiche varietà ( alcune al limite dell’estinzione) Pignoletti, Ostenga, Nostrano dell’Isola, Ottofile.
Il mais Ottofile in particolare ( oggi riproposto da alcune aziende agricole) si era guadagnato fama di qualità al punto da essere chiamato la melia del rè, in quanto godeva dei favori gastronomici di Vittorio Emanuele II. Questi mais erano molto apprezzati dai comuni cittadini; si pensi CHE A Torino, in Piazza delle Erbe, nella seconda metà dell’Ottocento esistevano ambulanti che cocevano la polenta in strada e la vendevano direttamente.

L’importanza della polenta era tale che fu pure fonte di ispirazione per poeti e scrittori :

Borbotta l’acqua, per due brocche al fuoco
E il fumo ride e la sua vampa cresce.
L’acqua borbotta, ma lo fa per gioco.
E nel paiolo ora la mamma mesce.
farina d’oro, e i bimbi son d’attorno...
Sembra che cuocia il sol di mezzogiorno!

E quando è cotta e messa sul tagliere
La mamma dice:- A tavola, ch’è pronta!
E prende il filo, e, mentre taglia, conta quanti ne vede a tavola sedere.
Né il cuor guidò giammai mano più attenta di questa che spartisce una polenta.

R. PEZZANI

Normalmente la polenta , una volta cotta nel paiolo di rame, veniva rivoltata su un asse di legno dotato di manico al quale, sovente, era legato il filo ( di cui si parla pure nella poesia ) che in molte case si usava per tagliarla.
Questa fama di “ cibo dei poveri” con riferimento al passato, perché oggi è richiesta ed è di moda, risulta in parte giusta e in parte immeritata.
Infatti, nei racconti degli anziani che descrivono le ricette tramandate di generazione in generazione, a fianco di piatti semplici ed (allora) economici, quali : polenta e latte, polenta con burro e formaggio, polenta con acciughe e burro, polenta e gorgonzola, polenta e fagioli, polenta con patate e lardo , ecc compaiono anche altri piatti decisamente più “ricchi”, quali : polenta e spezzatino, polenta con il coniglio, polenta e capriolo, polenta con selvaggina, polenta e merluzzo, fino alla mitica polenta concia( cucinata al forno, con strati di fontina, o toma e burro) e anche gli avanzi, tagliati a fette e fritti, diventavano un gustoso contorno.
Ricetta della Polenta Fritta ( a pulènta rustì ): la polenta avanzata dal giorno prima si può utilizzare in tanti modi ma uno dei più gustosi è senza dubbio la frittura. Si tagliano delle belle fette di polenta, quindi si friggono in olio bollente fino a farle dorare rendendole croccanti. Si mangiano semplicemente così come primo piatto oppure cospargendole di zucchero o di formaggio o altri ingredienti. Ottime per l'aperitivo e per accompaganre antipasti.
La nostra statuina deve pertanto sostenere non solo il peso fisico della polenta che sta portando in dono, ma anche il peso della storia, della cultura e dei valori che la polenta rappresenta per le Genti piemontesi.
Da : “ Presepe e personaggi della tradizione piemontese storia curiosità costumi fede attività usanze leggende e superstizioni delle Genti del Piemonte “ di Guido Moro.

A Momperone inoltre è possibile visitare, solo su prenotazione ( 0131784684 ), un mulino risalente al 1542 sito in Via Mulino, di proprietà privata, ed ammirare così le varie fasi della macinazione del mais.

I Malfatti sono un caratteristico primo piatto della Val Curone ed in modo particolare del Comune di Momperone dove da anni vengono pazientemente preparati dalle nostre casalinghe. La ricetta tradizionale, anche se poi si possono fare diverse varianti, è stata così tramandata da madre in figlia e risulta essere la seguente...

Ingredienti :
3 o 4 uova
500 g. pane grattugiato
100 g. formaggio grana grattugiato
½ litro di latte
1 Kg. Bietole
prezzemolo q.b.
olio – 100 g di burro – 1 spicchio di aglio – 1 presa di sale



Preparazione:

Cuocere le bietole in acqua, quindi una volta cotte, farle soffriggere con aglio – prezzemolo – burro – olio.
Passare questo composto nel tritatutto. Nel frattempo fare ammorbidire del pane secco nel latte e quindi cuocerlo a fuoco basso per cinque minuti.
Impastare quindi il tutto con il formaggio grattugiato , le uova ed il pane grattugiato.
Quando tutti i componenti si sono bene amalgamati preparare a mano i malfatti formando dei piccoli segmenti della lunghezza di 5 cm.
Una volta preparati cuocerli in acqua bollente , quando i malfatti salgono in superficie sono cotti, scolarli e condirli con un buon ragù di carne oppure anche solo con burro e salvia.
I malfatti preparati dalle donne del paese, secondo l’antica ricetta, possono essere assaggiati durante le serate dei “malfatti” organizzate dalla locale A.T. Pro Loco di Momperone che potrete sempre trovare nel programma estivo a partire dal mese di giugno di ogni anno.

Lo spazio web del Comune di Momperone è un progetto costruito e sviluppato da www.sgsistemi.com
Posta Elettronica Certificata: segreteria@pec.comunemomperone.it